SCAVI
L’edificio sacro dominante la terrazza superiore dell’Acropoli di Cuma, noto dal Beloch in poi come Tempio di Giove, è oggetto di indagini sistematiche che dal 2011 si svolgono annualmente nei mesi estivi e sono tutt’ora in corso.
Il progetto di ricerca che, sotto la direzione scientifica del prof. Carlo Rescigno, rappresenta un eccezionale laboratorio formativo per studenti e giovani ricercatori, ha come oggetto l’edizione analitica dell’edificio, palinsesto e vero e proprio testimone della lunga vita di Cuma, dalla fondazione coloniale nell’VIII sec. a.C. all’abbandono definitivo della rocca nel 1207.
Fu il Maiuri, che negli anni venti e trenta del ’900 aveva portato alla luce integralmente l’edificio, a riconoscere le tre grandi fasi monumentali: il tempio greco, quello romano e la basilica cristiana. Le nuove ricerche hanno meglio definito le trasformazioni architettoniche, gettato luce sulle pratiche devozionali e, sondando i livelli più antichi, intercettato le prime frequentazioni della terrazza a scopo cultuale.
Poche ma significative tracce del primo impianto dell’area sacra, ancora non ricostruibile nella sua fase monumentale, sono databili con un buon margine di sicurezza entro la prima generazione dei coloni, o comunque nel corso della seconda metà dell’VIII sec. a.C. Si tratta di trincee, forse cavi di fondazioni di costruzioni in materiale deperibile, pareggiamenti, operazioni di terrazzamento e buche di cantiere, che restituiscono reperti ceramici inquadrabili nelle fasi finali dell’età geometrica.
In questo primo periodo, lungo circa un secolo, le attività cultuali sono testimoniate dai doni votivi, soprattutto vasi, ripetitivi nelle forme, da piccoli e preziosi oggetti in piombo e oro e soprattutto da due eccezionali bronzetti raffiguranti un guerriero e una donna colta nell’atto di cantare accompagnata dalla lira.
Il primo edificio monumentale in tufo fu probabilmente costruito tra la fine del VII e i primi anni del VI sec. a.C., quando si completò l’opera di terrazzamento, mediante possenti muri in opera quadrata e sulla relativa piattaforma trovò la sua sistemazione un tempio periptero dorico in tufo. Ne ignoriamo quasi completamente gli alzati, per le pesanti ristrutturazioni successive, ma, reimpiegati in una pavimentazione della cella di fine VI sec. a.C., ritroviamo alcuni blocchi e capitelli pertinenti a questo edificio protoarcaico.
Pochissimo ci è noto della vita del tempio nel corso del V sec. a.C., segno che probabilmente non ci fu alcun intervento strutturale di rilievo. Un’importante cesura si data nella seconda metà del IV sec. a.C., quando i materiali rinvenuti nei cavi di fondazione e nei livelli di cantiere, testimoniano un rialzo dei piani di calpestio, contestuale alla costruzione di un grande edificio in opera quadrata di tufo giallo (25 x 40 m) con peristasi, ancora oggi ampiamente percepibile nelle sue fondazioni. I pavimenti furono realizzati in cocciopesto: di particolare impegno quello della cella. Su di un pareggiamento di scaglime di tufo e un piano di posa realizzato con spezzoni di tegole disposti a spina di pesce, venne disteso il vero e proprio cocciopesto con tessere sparse ai margini, fascia bianca perimetrale in tessere e punteggiato al centro.
Nessuna porzione significativa dell’alzato si è conservata fino a noi, anche se, considerati gli adattamenti successivi, possiamo immaginare che l’articolazione interna degli ambienti non doveva essere molto dissimile rispetto a quella del tempio romano. Fu infatti in questa fase che l’impianto, inglobando le diverse preesistenze, divenne quello definitivo, e gli interventi di età imperiale e post-antica, sebbene in molti casi distruttivi, ne modificarono la pianta, ma non più le fondazioni e gli orientamenti.
L’edificio continuò a vivere, pressoché inalterato, fino alla prima epoca imperiale quando tra Augusto e il primo regno di Tiberio esso fu abbattuto e totalmente ricostruito. I detriti provenienti dalla distruzione furono riutilizzati per ampliare ulteriormente il piazzale e così dagli scavi condotti all’esterno dell’edificio provengono interessantissime testimonianze del vetusto tempio ellenistico. Tra esse si segnala un gruppo di intonaci dipinti, in uno stile che potremmo accostare al primo pompeiano, pertinenti alla decorazione di un portico o delle pareti del tempio, realizzata in epoca tardo repubblicana. Su queste pareti i fedeli, prima della ricostruzione tiberiana, scrivevano, lasciando i loro nomi, ricordando date e piccoli racconti personali: le testimonianze di una folla che doveva popolare il piazzale soprattutto nei giorni di festa.
Il nuovo tempio fu costruito sulle fondazioni del vecchio, in opera ormai cementizia, in reticolato e mattoni, un nuovo edificio con muro perimetrale e con quattro file di pilastri in laterizi che articolarono gli spazi interni in cinque navate. Quella centrale, più ampia, ospitò in successione: un pronao, una cella con ingresso centrale, una seconda cella con due ingressi simmetrici laterali e un piccolo recesso posteriore.
Un nuovo cocciopesto sostituì quello più antico riprendendone la decorazione, mentre all’interno della cella fu invece molto probabilmente realizzata una pavimentazione in lastre di marmo. La prima cella assunse, con le sue nicchie e il suo podio, quasi l’aspetto di un sacrario destinato a contenere immagini preziose e sculture. L’immagine di culto, la statua che le fonti per il periodo repubblicano ricordano di legno e monumentale, era invece forse conservata nella seconda cella.
Della decorazione di pareti e tetto ben poco conosciamo: pochi lacerti di membrature architettoniche in marmo o di elementi decorativi, spesso reimpiegati nell’allestimento del sepolcreto cristiano. Dalle tombe provengono, riutilizzate, due iscrizioni di particolare importanza, che ricordano Gaio Cupiennio Satrio Marciano, personaggio di spicco della classe dirigente cittadina di età giulio-claudia, appartenente a una famiglia molto legata ad Augusto. Egli era noto ed era stato celebrato dalla città per aver rinnovato il tempio di Apollo e forse le sue feste .
Il nuovo impianto architettonico rimase pressoché invariato fino a età tardoantica. È solo, probabilmente, tra IV e V sec. d.C. che si comincia a percepire il cambiamento, i segni della trasformazione in chiesa cristiana. L’intricata sovrapposizione di strutture murarie, sepolture, tagli nella pavimentazione e scarichi di materiali, non sempre facile da comprendere e porre in sequenza, per gli sterri dei primi scavi, ci ha consentito di distinguere alcuni momenti di cesura, forse spia di più grandi modifiche architettoniche e planimetriche che accompagnarono la lunga vita della chiesa. All’inizio si configurò probabilmente solo un cambiamento funzionale degli spazi, senza alcun intervento di rilievo sulle strutture: pavimentazione, porte di ingresso e divisione degli ambienti rimasero sostanzialmente gli stessi del tempio pagano. La transennatura di alcuni spazi, documentata dal rinvenimento di frammenti di pilastrini e plutei riadoperati in tombe più recenti, e l’apertura di finestre all’interno delle nicchie della cella rappresentano, tuttavia, chiari segnali di adattamento al culto cristiano: la cella stessa in questa fase si trasformò in presbiterio, mentre ai fedeli fu lasciata la sezione del pronao e delle navate laterali, spazio a sua volta da supporre suddiviso gerarchicamente per rispondere alle strutture rituali paleocristiane. La chiesa assunse la forma, in pianta, di una T, con incontro tra transetto e navata priva di abside. La sezione posteriore del tempio fu separata dal resto dell’edificio e nella seconda cella e negli spazi posteriori fu costruito un battistero con annessi ambienti di servizio.
La chiesa fu invasa da sepolture che si concentrarono in aree privilegiate o ridistribuirono in file regolari su più livelli. Nel corso dell’Alto Medioevo si registrano più interventi di ridefinizione che sacrificano alcune delle prime sepolture, costruiscono nuovi muri e creano ambienti minori fino a raggiungere una seconda significativa ridecorazione da attribuire agli anni intorno all’XI sec. d.C., cronologia suggerita grazie al lungo testo di una iscrizione dispersa e allo stile di affreschi con rappresentazione di santi purtroppo noti solo per brevi frammenti. Fu l’ultima ricostruzione del tempio cumano. Nel 1207, conquistata la rocca di Cuma da parte di un esercito napoletano, le ossa dei martiri Massimo e Giuliana furono traslate a Napoli e il grandioso edificio, tre volte tempio e due volte cattedrale, concluse la sua storia lentamente assorbito dal paesaggio agrario e poi divenendo monumento dell’attuale Parco Archeologico.
(Andrea Averna)
Bibliografia di riferimento
Cinquantaquattro – Rescigno 2017 = T.E. Cinquantaquattro – C. Rescigno, “Una suonatrice di lira e un guerriero. Due bronzetti dagli scavi sull’acropoli di Cuma”, in MEFRA 129-1, 2017: 217-234.
Rescigno 2012a = C. Rescigno, “Il Tempio di Giove sulla Rocca cumana. Motivazioni di una ricerca”, in Cuma, il Tempio di Giove e la terrazza superiore dell’acropoli. Contributi e documenti, a cura di C. Rescigno, Venosa 2012: 13-34.
Rescigno 2012b = C. Rescigno, “Cuma, acropoli. Scavi al Tempio Superiore: II campagna (estate 2012)”, in FOLD&R 263, 2012: 1-15. http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2012-263.pdf
Rescigno 2013 = C. Rescigno, “Il Tempio Superiore dell’Acropoli di Cuma. Nuove ricerche”, in CMGr 52, 2013: 913-929.
Rescigno 2021 = C. Rescigno, “Acropoli di Cuma”, in Puteoli, Cumae, Misenum. Rivista di studi e notiziario del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, Napoli 2021, Anno I, Volume I: 195-203.
Rescigno – Sirleto 2011 = C. Rescigno – R. Sirleto, “Cuma, terrazza superiore dell’acropoli. Scavi al tempio di Giove”, in FOLD&R 236, 2011: 1-10, http://www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2011-236.pdf.
The sacred building overlooking the major terrace of the Cumae acropolis, known since Beloch’s interpretation as the Temple of Jupiter, has been the object of systematic investigations since 2011, carried out annually during the summer months and still ongoing.
The research project, under the scientific direction of Prof. Carlo Rescigno, represents an extraordinary field training for students and young researchers. The aim is the analytic study of the building, point of reference and spectator of the long life of Cumae, from its colonial foundation in the 8th cent. BC to the conclusive abandonment of the citadel in 1207 AD.
In the years 20s and 30s of the twentieth century, Amedeo Maiuri brought to light the building entirely, recognising the three great monumental phases: the Greek temple, the Roman one, and the Christian basilica. Recent research has further defined the architectonic transformations, highlighting the worship practices and grasping the first frequentation of the terrace for cultic activities in the oldest strata.
Few but relevant traces of the first layout of the sacred area, yet not identifiable in its monumental phase, are datable, with a low margin of error, within the first generation of colonists or, in any case, during the second half of the 8th cent. BC. These traces are ditches, probably foundation pits for constructions in perishable material, levelling actions, terracing operations, and construction sites diggings: from there, ceramic findings were recovered to be dated to the final phase of the Geometric Age. In this first period, lasting almost one century, the cultic practices are attested by the votive offerings: in particular these are vases with recurring shapes, small but precious objects made of lead and gold, and remarkably, two unique bronze statuettes depicting a warrior and a female lyre player in the act of chanting.
The first monumental building in volcanic tuff stone was probably built between the end of the 7th and the beginning of the 6th cent. BC, when the terrace was completed using mighty opus quadratum retaining walls: thus, the peripteral tuff Doric temple was placed above that platform. The elevations are mostly not known due to successive massive restructuration, even though some proto-Archaic building blocks and capitals were found rearranged as part of the end of the 6th cent. BC cella floor.
On the life of the temple during the course of the 5th cent. BC is not much known, as probably no relevant interventions happened during that period. An important divide can be noticed in the second half of the 4th cent. BC: the materials recovered in the foundation pits and in the strata from the workings attest a raising up of the planking level. This is concomitant to the construction of a great building with peristasis made of opus quadratum yellow tuff stones (25 x 40 m), still extensively discernible in its foundation. The floors were realised in opus signinum coating, with a particular care in the cella, laid out above a levelling stratum made of tuff flakes and a setting layer realised with roof tiles pieces in fish bone disposition. The opus signinum coating was arranged with sparse tesserae on the edges, a tesserae white strip on the perimeter, and a dotted design at the centre.
No significant portions of the elevations have been preserved until today, even though, considering the successive adaptations, it is possible to imagine that the articulation of the inner spaces should not have been so dissimilar in respect to the Roman temple. Indeed, it is in this phase that the layout, embedding the pre-existing structures, become the definitive one. The Imperial Age and post-Antiquity interventions, even if in many cases quite destructive, did modify its plan but not its foundations nor its orientations.
The building endured almost unaltered until the first Imperial Age when, between Augustus and the Tiberius’ first reign, it was destroyed and totally re-built. The fragment debris resulted from the destruction were used to enlarge the square: thus, the excavations carried out in the outdoor put in light many interesting fragments of the older Hellenistic temple. Among them, it can be drawn attention to a plaster group coloured in a style comparable the first Pompeian one, pertaining to a portico decorative system or to the temple walls and realised in the Late Republican Age. On these walls, antecedents to the Tiberian restructuration, devotees wrote their names, dates and short personal stories: these constitute the record of the people gathering together, especially during festivities, at the temple square.
A new temple was built above the foundations of the older one, made of Roman concrete and bricks in opus reticulatum as common for the time. The inner layout was articulated in five naves, with a perimetral wall and four lines of columns made of Roman bricks. The central widest nave was divided in the following order: a pronaos, a cella with a central frontal entrance, a second cella on the back with two symmetrical lateral entryways, and a small posterior room.
A new opus signinum coating floor substituted the older one reiterating its decoration, whereas, within the cella a marble slabs flooring was probably realised. The central cella acquired the aspect of a sacrarium: with its niches and podium, it seems adapt to have accommodated precious images and sculptures. The cult image, a monumental statue made of wood as reminded by the sources regarding the Republican period, was perhaps placed in the second cella.
It is not much known regarding the walls and roof decorative system: few scraps of marble from the architectonic framework or from the decorative elements were found re-employed in the Christian sepulchre. From the tombs, two remarkable spolia inscriptions were recovered, mentioning Gaio Cupiennio Satrio Marciano, a public figure of the city ruling class during the Julio-Claudian dynasty, kin to a family very near to Augustus. He was well-known and celebrated in the city for having renovated the temple of Apollo and, perhaps, its festivities.
The new architectonic layout persisted almost unchanged until the Late Antiquity period. Between the 4th and 5th cent. AD, the beginning of a transformation towards the Christian church can be recognised. The complex overlapping of masonry structures, burials, cuts in the floor with the dumping of materials, is not always easy to decode and to order into a sequence. The digging out during the first excavations allowed the identification of some moments of discontinuity, perhaps clues of wider architectonic and planimetry modifications happened during the long life of the church. At the beginning, only the use of spaces changed, with no relevant interventions on the structures: the floor, the doorways and the inner division remained essentially the same of the pagan temple.
The barricade of some spaces, documented by the discovery of colonnettes and plutei fragments re-used in more recent burials, as well as the opening of windows frames within the cella niches, represent clear signs of adaptation to the Christian cult. In this same phase, the cella itself was converted into a presbytery. The pronaos and the lateral naves were left to the devotees, in an area to be imagined subdivided hierarchically to meet the need of paleo-Christian liturgical practices. The church acquired a T-shape plan, with the crossing of the transept and the nave with no apse. The posterior part of the temple was separated from the rest of the building and, in the second cella, a baptistery was built with service rooms on the back.
The church was filled with burials concentrated in preferential areas or lined up in regular rows found on few stratigraphic layers. During the Early Medieval Period more interventions for space redefinition are attested: earlier burials were dismantled to make space for new walls for the creation of smaller rooms. A second significant re-decoration can be dated around the 11th cent. AD, according to the chronology suggested by a long but lost inscription and by the fresco style with representation of saints only recognisable by short fragments. This was the last reconstruction of the Cumaean temple. In 1207, the Neapolitan army conquered the citadel of Cumae, and the bones of the martyrs Massimo and Giuliana, were translated to Neapolis. The magnificent building, three times temple and two times cathedral, ended its history slowing absorbed by the agrarian landscape and finally becoming heritage in the present-day Archaeological Park of the Phlegraean Fields.
(trad. Ilaria Cristofaro)
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